Amore e Psiche

Riassunto

È la storia di Psiche, una giovane donna di straordinaria bellezza che scatena la gelosia della dea Afrodite. Afrodite, per vendicarsi, chiede aiuto al figlio Cupido che si innamora di Psiche, portandola in un castello incantato dove la corteggia senza mai rivelare la sua identità. Spinta dall’invidia delle sorelle, Psiche cerca di scoprire chi sia realmente suo marito, costringendo Cupido alla fuga. Dopo tante avventure e dure prove imposte da Afrodite, Psiche riesce a superare tutte le difficoltà grazie all’aiuto di Cupido e di altre creature gentili. Alla fine, con l’intervento di Cupido presso gli dèi, Psiche viene accolta tra gli immortali, ricevendo il perdono divino e un posto nell’Olimpo. La storia affronta temi come l’amore, l’invidia, il dolore e la redenzione, mostrando come la perseveranza e la lealtà possano vincere contro ostacoli che sembrano insormontabili.

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C’era una volta un re che aveva tre figlie. Le due ragazze più grandi erano molto carine e tanti uomini le corteggiavano, ma la più giovane era così bella che in città si diceva fosse persino più bella della dea Afrodite e, quando camminava per le strade, gli uomini si inchinavano a terra, come se fosse passata Afrodite in persona.

Quando Afrodite venne a sapere della bellissima Psiche, si arrabbiò e pensò a un piano. Per realizzarlo aveva bisogno di suo figlio, Cupido.

Quando Cupido arrivò da lei, disse: “Vieni con me, ho qualcosa da mostrarti”; e i due volarono insieme nel cielo, fino a raggiungere il castello dove Psiche stava dormendo.

“Questa è la ragazza che gli uomini adorano, ma loro dovrebbero adorare solo me,” sussurrò, mentre i suoi occhi grigi lanciavano scintille di fuoco. “Ti ho portato qui perché tu possa vendicarmi trafiggendola con una freccia che riempirà il suo cuore d’amore per uno degli uomini più semplici.”

Cupido fissò la ragazza addormentata e capì subito perché tutti gli uomini la adoravano.

“Non lo farò,” sussurò, “non ti farò innamorare di un uomo cattivo. Da me e dalle mie frecce sei al sicuro. Ma io sono al sicuro dalle tue frecce?” E poi se ne andò.

Se Afrodite non fosse stata una dea, e avesse conosciuto meglio il cuore degli uomini, forse non avrebbe invidiato così tanto Psiche. Anche se tutti gli uomini ammiravano la sua bellezza, nessuno le chiese di sposarlo. Tutti la consideravano troppo bella per loro. Così, mentre le sue sorelle avevano casa e figli, Psiche rimase sola nel palazzo del padre.

Mentre passavano i mesi e gli anni, Il re si preoccupò perché Psiche aveva superato l’età in cui le ragazze greche di solito si sposano. Chiamò alcuni saggi per chiedere consiglio, ma loro scossero la testa e gli suggerirono di consultare l’oracolo dei suoi padri. Così si recò all’oracolo.

Dieci giorni dopo, tornò in città con il capo chino e il volto pallido. La regina, con il cuore in ansia, aspettava il suo arrivo.

“Che cosa è successo?” gli disse mentre lo salutava.

“L’oracolo ha parlato,” rispose, “Psiche verrà lasciata su una roccia e un mostro orrendo la mangerà!”

Quella sera, un triste corteo uscì dalle porte della città e al centro c’era Psiche, vestita di nero e guidata dal padre, mentre la madre la seguiva in lacrime.

Il sole stava sorgendo quando raggiunsero la roccia desolata, in cima a un’alta montagna, dove l’oracolo aveva detto che Psiche doveva essere lasciata morire. Suo padre e sua madre l’abbracciarono per l’ultima volta e, anche se piangevano disperatamente, lei non versò una lacrima. A che serviva? Era la volontà degli dei, e così doveva essere!

Presto tutti se ne andarono e Psiche, pensando al mostro, si appoggiò alla roccia tremando di paura. Era molto stanca, il cammino sulla montagna era stato lungo ed era stremata dal dolore. Cadde in un sonno profondo e per un po’ la sua tristezza fu dimenticata.

Mentre dormiva, Cupido vegliava su di lei. La portò giù dalla montagna e la distese su un letto di gigli nella valle.

Mentre dormiva, sogni sereni attraversavano la sua mente, e il suo terrore e il dolore furono dimenticati. Si svegliò sentendosi felice, anche se non avrebbe potuto spiegarne il motivo, perché si trovava da sola in un posto sconosciuto. In lontananza, tra gli alberi, il getto di una fontana brillava di bianco, e lei si alzò e si incamminò lentamente. Accanto alla fontana c’era un castello, di gran lunga più bello di quello in cui aveva vissuto Psiche, che era costruito in pietra, mentre questo era tutto d’oro e d’avorio. Piena di meraviglia ma con un tocco di paura, attraversò la porta.

“Questo castello è grande quanto una città,” disse la ragazza, mentre girava da una stanza all’altra;  “ma è strano che qui non ci sia nessuno a godere di questi tesori o a custodirli!”

Dal silenzio una voce le rispose: “Il castello è suo, principessa. Dovete solo comandare e noi le obbediremo”.

Psiche non aveva più paura ed era felice, si fece un bagno e si addormentò. Quando si svegliò, si trovò davanti un tavolo pieno di cibo e vino. E anche se sentiva delle voci, non vedeva nessuno.

Le ore volarono e il sole stava tramontando, quando all’improvviso un velo dorato fu posato sul suo capo e, nello stesso momento, una voce che non aveva sentito parlò: “Immergi le tue mani in quest’acqua sacra”; Psiche obbedì e, mentre le sue dita erano immerse nel catino, sentì un tocco leggero, come se anche altre dita fossero lì.

“Taglia questa torta e mangiane metà,” disse ancora la voce; Psiche lo fece, e vide che il resto della torta spariva poco a poco, come se qualcun altro la stesse mangiando.

“Ora Psiche, sei mia moglie,” sussurrò dolcemente la voce; “ma ascolta quello che dico. Le tue sorelle verranno a cercarti, ma il loro amore per te non è puro. Se ti trovano qui, non rispondere alle loro domande e non alzare gli occhi verso di loro.”

Psiche promise che lo avrebbe ascoltato e le settimane passarono, ma una mattina si sentì improvvisamente sola e iniziò a piangere al pensiero di non vedere mai più il volto delle sue sorelle, o anche solo di non poter dire loro che era viva.

“Che c’è?” le chiese dolcemente il marito, e lei sentì le sue dita delicate che le accarezzavano i capelli.

Allora Psiche sfogò tutta la sua tristezza. Come poteva essere felice, anche in un posto così incantevole, quando le sue sorelle piangevano per la sua perdita? Se solo potesse vederle una volta, se solo potesse dire loro che stava bene, allora non chiederebbe nient’altro. Se non poteva—era un peccato che il mostro non l’avesse divorata.

“Fai come desideri,” disse, “anche se temo che ci saranno conseguenze negative. Se vuoi, invita le tue sorelle e dai loro qualsiasi cosa ci sia nel palazzo. Ma, ancora una volta, ti ricordo di non rispondere alle loro domande, altrimenti saremo separati per sempre.”

“Non ci lasceremo,” esclamò Psiche, abbracciando suo marito. “Chiunque e qualunque cosa tu sia, non ti abbandonerò, nemmeno per il dio Cupido. Non dirò nulla a nessuno.”

La mattina seguente le due sorelle erano sedute sulla roccia. “Psiche! Psiche,” gridarono e le montagne in eco risposero “Psiche! Psiche,” ma non ci furono altri suoni. All’improvviso si sentirono sollevate delicatamente da terra e trasportate nell’aria fino alla porta del castello, dove si trovava Psiche.

“Psiche! Psiche!” gridarono ancora, ma questa volta con gioia e meraviglia.

Dopo che le sue sorelle le raccontarono tutto ciò che dovevano dirle, Psiche le invitò a visitare il castello. Nel vedere tutte quelle ricchezze e splendori, nei loro cuori cominciò a nascere l’invidia e anche la curiosità. Si guardarono e gli sguardi dei loro occhi non promettevano nulla di buono per Psiche.

“Ma dov’è tuo marito?” chiese la più grande. “Lo incontreremo?” chiese l’altra.

Le loro domande ricordarono a Psiche il pericolo contro cui era stata avvertita e lei rispose in fretta: “Oh, è giovane e molto bello ma trascorre gran parte del suo tempo a caccia.” Le sorelle rimasero insieme alcune ore e poi le due più grandi tornarono a casa.

“Perché la Fortuna l’ha favorita così tanto rispetto a noi?” gridò la più grande. “Perché dovrebbe avere tante ricchezze ed essere sposata con un uomo giovane e bello?”

 “Sì, non è giusto,” si lamentò l’altra sorella, “non raccontiamo a nostro padre e a nostra madre dei privilegi che il Destino le ha riservato. Pensiamo invece al modo migliore per umiliarla e abbatterla.”

Intanto era calata la notte e il marito di Psiche si avvicinò a lei.

“Ti sei ricordata dei miei avvertimenti,” chiese, “e ti sei rifiutata di rispondere alle domande delle tue sorelle?”

“Oh sì,” esclamò Psiche; “non ho detto nulla di ciò che volevano sapere. Ho detto che eri giovane e bello e che mi regalavi le cose più belle del mondo, ma che oggi non potevano vederti, perché eri a caccia in montagna.”

“Molto bene” sospirò; “ma in questo momento stanno tramando come distruggerti, riempiendo il tuo cuore con la loro malvagia curiosità, in modo che un giorno tu chieda di vedere il mio volto. Ma nel momento in cui lo farai, io sparirò per sempre.”

“Oh, non ti fidi di me,” singhiozzò Psiche; “eppure ti ho dimostrato che posso stare in silenzio! Permettimi di dimostrartelo ancora, portando le mie sorelle un’altra volta.”

Suo marito si rifiutò di concederle quello che chiedeva ma, alla fine, le disse che poteva vederle ancora una volta. Con entusiasmo corsero attraverso il giardino verso il palazzo e salutarono Psiche con abbracci affettuosi.

Mentre mangiavano frutta sotto gli alberi vicino alla fontana, la sorella più grande parlò: “Mi rattrista che tu sia vittima di un tale inganno.”

“Cosa vuoi dire?” chiese Psiche. Nessuno mi inganna e nessuna dea potrebbe essere più felice di me.”

“Tuo marito non è chi pensi che lui sia. È un enorme serpente il cui collo si gonfia di veleno e la cui lingua schizza veleno. Gli uomini che lavorano nei campi lo hanno visto attraversare il fiume mentre cala l’oscurità.”

I loro singhiozzi e le loro parole convinsero Psiche, che cadde nella loro trappola.

“È vero,” disse, “non ho mai visto il viso di mio marito. Le sue parole sono sempre dolci e gentili, e il suo tocco non assomiglia affatto alla pelle di un serpente. Non è facile da credere, ma se è vero, per favore aiutami.”

 “È il motivo per cui siamo qui,” rispose la più grande; “questo è ciò che devi fare. Questa stessa notte prendi un coltello affilato e nascondilo. Quando il serpente si sarà addormentato, tagliategli la testa.” Poi le sue sorelle se ne andarono.

Rimasta sola, Psiche pensò che forse le sue sorelle si sbagliavano. Ma la sua fiducia in loro era forte e, con il calare della notte, si preparò.

Quando suo marito tornò a casa, si sdraiò subito sul divano e si addormentò profondamente. Allora Psiche prese una candela, si avvicinò al divano e, con stupore, non vide un enorme e orrendo serpente, ma il più bello di tutti gli dei, proprio Cupido. Nella sorpresa, le scivolò la candela e la cera calda cadde sulla spalla di Cupido.

La sua presenza e il dolore svegliarono Cupido, che fuggì. Psiche aveva il cuore spezzato e cercò l’oblio eterno nel fiume. Ma il fiume la trasportò delicatamente e la depose su una riva di fiori. Quando si svegliò, decise di vagare giorno e notte per il mondo finché non avesse ritrovato suo marito.

Con la disperazione nell’anima, Psiche vagava da un luogo all’altro, senza sapere e senza badare a dove i suoi piedi l’avrebbero portata. Poi un giorno fu trovata e catturata da uno dei servitori di Afrodite, che la trascinò per i capelli fino alla dea. Qui fu picchiata e derisa e le fu assegnato un compito impossibile da completare.

Psiche sapeva di non poter finire quel compito e pensava che sarebbe stata sicuramente uccisa, ma la morte sarebbe stata gradita; ormai stanca, si sdraiò sul pavimento e si addormentò. In quel momento, una piccola formica, che stava passando per il magazzino mentre andava nei campi, la vide e andò a chiamare tutti i suoi fratelli, chiedendo loro di avere pietà della fanciulla e di fare il lavoro che le era stato assegnato.

Entro il tramonto, ogni chicco era stato selezionato e messo nel proprio sacco. Psiche aspettava tremante Afrodite, sentendo che nulla di ciò che poteva fare l’avrebbe soddisfatta.

“Dove sono i miei semi?” urlò Afrodite. Psiche indicò silenziosamente la fila dei sacchi contro il muro. La dea diventò bianca dalla rabbia e urlò forte: “Misera creatura, non sono state le tue mani ad averlo fatto! Non sfuggirai alla mia ira così facilmente!”

La mattina seguente, la dea aveva un altro lavoro per la ragazza. “Laggiù, sulle rive di un fiume, ci sono pecore la cui lana è morbida come la seta e lucida come l’oro. Prima di sera, voglio che tu ritorni con tutta la lana che ti serve per farmi una veste. E non credo che stavolta troverai qualcuno che svolga il tuo compito!”

Così Psiche andò al fiume, ed era così limpido e fresco che si immerse nell’acqua per riposarsi. Ma un giunco le cantò una canzone che diceva: “O Psiche, nasconditi fino a sera, perché le pecore sono impazzite per il calore del sole. Ma quando l’aria diventa fresca, si addormentano e puoi prendere tutta la lana che vuoi.”

Psiche ringraziò il giunco e portò la lana perfetta alla dea. Afrodite era furiosa e le ordinò di andare in cima a una montagna per riempire un’urna di cristallo da una fontana di acqua nera che sgorgava tra le pareti di una roccia liscia. E Psiche andò volentieri, pensando che questa volta sicuramente doveva morire.

Ma un’aquila, che stava sorvolando quel luogo orribile, venne in suo aiuto: le prese l’urna e volò verso la fontana che era sorvegliata da due orribili draghi. Per evitarli, ci volle tutta la sua forza e la sua abilità.

Con gioia l’aquila diede l’urna a Psiche, che la portò indietro con cura. Ma Afrodite non era ancora soddisfatta. Trovava sempre nuovi lavori per Psiche e sperava che ognuno di questi potesse portarla alla morte, anche se ogni volta uccelli o animali avevano pietà di lei.

Se solo Cupido avesse conosciuto i piani malvagi di sua madre, l’avrebbe fermata e avrebbe aiutato Psiche. Ma la ferita sulla sua spalla, causata dalla cera calda, impiegò tanto a guarire. Alla fine il dolore sparì e il suo primo pensiero fu di andare da Psiche. Al suono della sua voce, lei stava quasi per svenire di gioia e gli raccontò tutto ciò che era accaduto da quella notte terribile quando aveva distrutto la sua felicità.

“La tua punizione è stata severa,” disse, “e non ho il potere di salvarti dal compito che mia madre ti ha assegnato. Ma mentre tu lo svolgerai, io volerò all’Olimpo e chiederò agli dei di concederti il perdono e, ancor di più, un posto tra gli immortali.”

E così, l’invidia e la cattiveria di Afrodite e delle sorelle malvagie furono fermate, e Psiche lasciò la terra per prendere posto sul trono dell’Olimpo.